“Il profeta” di Khalil Gibran torna con Marietti 1820
Il profeta continua il suo viaggio o forse non si è mai fermato, pur restando le sue parole impresse in quelle pagine che dal 1927, anno della prima pubblicazione in inglese di questo testo dallo stile aforistico che ricorda lo Zarathustra di Nietzsche ma segnato anche dagli influssi russoniani per quanto riguarda il ruolo della Natura e la sua avversione per le città: “Per paura, i vostri antenati vi hanno riuniti tutti insieme. e questa paura dovrà durare ancora un po’.”
Poeta, pittore, artista libanese naturalizzato americano, di religione cristiano-maronita, Khalil Gibran viaggiò molto e in Europa studiò i pensatori dai quali, come detto, fu molto influenzato nello stile e nel pensiero. Gibran pubblicò i primi libri in arabo, salvo poi utilizzare l’inglese. I suoi testi sono un misto di prosa e poesia, utilizzando uno stile simbolico che mescola parabole e aforismi. “Il profeta” (2019, pp. 208, euro 11), poema che viene ora ristampato dall’editore bolognese Marietti 1820, in una edizione economica – nella traduzione di Alessandro Pugliese – agile ed elegante e con testo originale a fronte, è divenuto in poco tempo un classico, grazie anche al ruolo della controcultura statunitense e al movimento della New Age. Il motivo è semplice: Il profeta ha da subito individuato la rivoluzione spirituale di quegli anni in cui il materialismo capitalista, prevalentemente statunitense, veniva messo in discussione da un rinnovato senso di comunione con la Terra e i suoi elementi primordiali, scardinandone le sovrastrutture.
“Almustafa, l’eletto e l’amato, aurora del suo stesso giorno, aveva atteso dodici anni nella città di Orfalese la nave che doveva tornare e riportarlo alla sua isola natia. […] Ma mentre scendeva dalla collina, una tristezza calò su di lui, e pensò in cuor suo: come potrò andare in pace e senza dolore?”
Nell’incipit, Almustafa deve quindi lasciare la sua città, ma il suo cuore è colmo di tristezza, così come tristi sono gli abitanti della città che lo hanno avuto come punto di riferimento spirituale. Al fine di lasciarli in pace con se stessi, Almustafa enuncia i suoi pensieri sui più svariati momenti della vita di un uomo, da quelli quotidiani (sul mangiare e bere, sul vestirsi, la gestione della casa, ecc.) ai massimi sistemi (l’amicizia, il dolore, le amicizie, la legge, la morte, ecc.). Scrive Jean-Louis Ska nell’introduzione al volume, “Kahlil Gibran fa del mondo un tempio e della vita quotidiana una liturgia. Ogni azione umana è un servizio sacro, ogni mestiere è un sacerdozio. assistiamo a una consacrazione di tutta la vita e di tutto l’universo. in questo modo, la distinzione tra sacro a profano svanisce. Tutto ciò suppone un’armonia profonda fra tutti gli elementi dell’universo, in particolare fra umanità e natura”. L’armonia tra tutti gli elementi della natura è un filo conduttore importante, tanto che Gibran è stato identificato anche come panteista.
“Il contesto del libro è quello di un viaggio”, continua più avanti Ska, “probabilmente definitivo, vale a dire il viaggio che conduce da questo mondo a un mondo ove ci abbeveriamo al fiume del silenzio. I discorsi contengono quindi il discorso di addio e il testamento spirituale di Kahlil Gibran”, che morì solo quattro anni dopo aver dato alle stampe Il profeta, avverando una delle ultime frasi del libro: “Il fiume ha raggiunto il mare, e ancora una volta la grande madre stringe il figlio al seno”.
Giovanni Canadè