Iniziare l’anno con delle buone letture, per quanto mi riguarda, non è mai una cosa così scontata e, sebbene il 2020 sia iniziato decisamente bene con i libri usati e vecchi, quello di oggi, non è un libro trovato su qualche scaffale dimenticato ma proprio ricercato e voluto. Prima di spiegare perché io lo cercassi, cerchiamo di ambientarci: John Dos Passos (1896-1970), americano è stato scrittore, giornalista, sceneggiatore, saggista, poeta e reporter di viaggio ed è inserito nella categoria degli scrittori della generazione perduta. Iniziazione di un uomo, non è solo il suo primo libro pubblicato nel 1920 ma anche una sorta di “dichiarazione d’intenti”: raccontare il mondo da una prospettiva diversa, senza perdere di vista il fatto che le facce che compongono una moltitudine non hanno solo una storia da raccontare ma pensano, sentono e deducono interpretando la realtà dal loro punto di vista. Ed è questa dualità del soggetto che, a Dos Passos, interessa portare nel dibattito culturale: un diverso modo di mettere in prospettiva la realtà. È colui che, con semplicità e una maniacale attenzione al dialogo -atta a cogliere tutte le sfumature-, qui racconta alcuni momenti della Prima Guerra Mondiale attraverso la storia di Martin, giovane americano che si arruola per “fare la cosa giusta” ed essere parte di “qualcosa di grande”. E, per certi versi, già dall’inizio sembra di sentire attutirsi in lontananza il mondo di Fitzgerald e arrivare quello di Hemigway.
Di Martin sappiamo poco: quando il libro si apre è già sulla nave che lo sta portando in Europa e in particolare in Francia. È un romanzo di formazione, anche se qui l’evoluzione del personaggio non è migliorativa ma peggiorativa, in cui il nostro eroe non entrerà mai sul campo di battaglia, se non per recuperare feriti o morti, visto che lavora come autista di ambulanze. È continuamente esposto ai risultati nefasti che, questo conflitto, produce e lascia sul campo, ed è un ruolo che ricorda l’esperienza dell’autore in questa guerra ma è soprattutto funzionale: chi svolge quell’attività non vede soltanto gli effetti “fisici”, ma anche quelli morali, raccogliendo i lamenti, le paure e la devastazione emotiva di chi è ad un passo dalla morte e ne è profondamente spaventato e solo. Ed è proprio dopo aver visto questo annientamento che nelle conversazioni degli uomini arrivano riflessioni che non sono costituite da uno sterile senso d’odio verso chi sta sopra di loro. Il pensiero di questa umanità variegata, che si nutre di tutto quel senso di perdita di persone o cose che in un momento cessano la loro esistenza, porta a considerazioni diverse, più raffinate nella loro estrema semplicità.
Sono
loro, quelli che in un romanzo storico potremmo definire gli ultimi, ma
che qui sono rappresentati da uomini che hanno lasciato una vita più o
meno felice per combattere in una guerra che non gli appartiene. Sono
giovani e adulti, padri o figli. Un mondo eterogeneo di esperienze
pregresse che si arricchisce anche dei confronti con la gente dei luoghi
che difendono o con i soldati francesi.
Dai loro scambi si generano
confronti dall’aspetto semplice che però portano dietro considerazioni
molto pratiche. Ed è qui che la visione dell’autore diventa
improvvisamente chiara al lettore: l’enorme ingiustizia di vite messe
alla prova da una stratificazione sociale che prevede che ,chi decide,
non provi mai le conseguenze delle sue scelte ma che queste impattino
sulla vita o la morte di chi invece, in questo processo, non viene mai
interpellato.
E la cosa che
stupisce è che tu, nel viaggio che Dos Passos ti ha disegnato, fatto di
una storia che non è affatto lineare, ma si nutre di momenti che si
susseguono in una linea temporale che ti sembra comunque naturalmente
consequenziale, alla fine, concordi con la loro posizione facendo cadere
tutte le naturali convinzioni personali. Mi spiego meglio: in una
guerra c’è chi offende e chi si difende, è una cosa naturale volere
qualcosa e difendere qualcosa, ed è nella natura dell’uomo dalla notte
dei tempi. L’affermazione di supremazia che dalla preistoria ad oggi è
passata per milioni di motivazioni differenti, dalla necessità di
sopravvivenza, alla civilizzazione, alla gloria nazionale, alla difesa
degli ultimi, diventa improvvisamente stupida, anzi, citando una delle
frasi detta spesso in questo scritto: è idiota. E lo è per una ragione
ben chiara che davanti ad un fuoco pomeridiano soldati differenti si
dicono fra loro: se non esistesse la proprietà, non esisterebbe la
guerra.
A questo punto serve che io spieghi perché cercavo gli
scritti di Dos Passos, perché potrebbe apparire inutile l’esercizio
dello scrittore ma non lo è affatto.
Non ho mai incontrato Dos Passos fino alla prima settimana di Gennaio scorso perché mi è capitato fra le mani un articolo del The New Yorker di Matt Hanson che si domandava su cosa nel 2019 ha avuto ragione “1919”. Perché, sì, Dos Passos autore di discreta fortuna e molto conosciuto scrive libri che, come dice il giornalista, ad un certo punto sono “più rispettati che letti” e ritorna in tendenza, quando nel 1998 la Modern Library inserisce la trilogia “U.S.A”, di cui “1919” è parte integrante, nella top 100 dei grandi romanzi del XX° secolo. Nello stesso articolo compaiono anche riferimenti alle alterne “vicende e fortune” della sua opera o della percezione che da di sé al pubblico americano, ma non mi era così chiaro cosa potesse aver fatto fluttuare così tanto la carriera di un uomo, nell’epoca di quella generazione che aveva visto il peggio e il bello che la vita poteva offrire e aveva partecipato attivamente a quel contesto culturale che, fino alla seconda guerra mondiale, preparerà il terreno alle correnti di pensiero che caratterizzeranno anche la parte finale del ‘900. La risposta si trova nella sua biografia, quella della Wikipedia non italiana: ad un certo punto compare un commento in cui si fa riferimento a “cambiamenti continui di pensiero e di adesione alle politiche” che cercavano di dare forma al mondo che noi oggi viviamo.
Dos Passos, come Orwell, incappa nella guerra di Spagna e ad un certo punto cambia idea, ed è il primo di altri cambiamenti simili in cui si delinea uno spirito a me affine il cui credo si piazza esattamente nel centro di due fazioni nutrendosi di fattori positivi di entrambe le visioni. Ma sebbene la ritrosia e la guerra orwelliana si gioca più in contrapposizione non solo verso ciò che non condivide ma anche contro chi lo censura come la Russia attraverso la mano della connivente Inghilterra, con Dos Passos la politica sembra centrarci poco, stando ai romanzi per cui è più famoso come Manhattan Transfert, 42° parallelo (trilogia), 1919 e Big Money. Dos Passos si concentra sull’uomo e sul trovare quell’equilibrio che gli possa regalare la pacificazione e la felicità sociale a tutti i livelli.
Quindi nel trascrivere quell’universo terribile e perverso che lui stesso ha vissuto compie un atto strano: traccia un percorso di cui intuisci e di cui vedi solo alcuni momenti, che sembrano a prima vista casuali (la nave, le conversazioni frivole, la marcia, l’incontro con i paesani francesi, le notti all’addiaccio, i primi feriti, la bellezza della pace e la sua distruzione, le donne della licenza, la solitudine in compagnia e la compagnia che tira le somme di un conflitto che li ha esasperati) ma non lo sono affatto. In questa serie disarticolata vivi un crescendo, uno di quelli che finisce per appartenenti anche se la sua scrittura non ti esaspera, come avviene con alcune tendenze degli anni 10 del 2000. L’autore ci tiene a preservare il suo lettore e tu la guerra la vivi ascoltandola in lontananza, per i suoi effetti nefasti, per quegli scarponi che verranno riassegnati, i soldati che non sanno dove ripararsi e per la paure che quell’ambulanza non ce la faccia a portare i feriti in salvo.
E a quel
punto anche tu diverrai un po’ come Dos Passos diviso fra la
condivisione di considerazioni naturali, come quelle che si svolgono
attorno a quel fuoco, all’impossibilità di negare la natura umana e
nella necessità di trovare una via d’uscita o un compromesso che possa
preservare quella bellezza che ogni singola vita riserva a chiunque
abbia la possibilità di nascere in questo mondo.
Come dicevo
all’inizio di questa recensione tutto questo orrore, dolore e rinascita,
questo lumino che si accende attorno al fuoco con la certezza che,
nonostante la differenza delle bandiere che ti sventolano e ti
rappresentano, in fondo, siamo tutti uguali, ti viene presentato con una
scrittura fluida che, al netto della tua condivisione o meno della
visione che ne esce, è talmente piacevole che quasi ti dispiace
chiuderlo questo libro. E’ la stessa sensazione confortevole di quei
film in bianco e nero di una volta, dove non servivano effetti speciali,
per creare qualcosa che sarebbe resistita al tempo e avrebbe commosso
anche chi, quell’epoca, non l’ha mai vissuta e conosciuta. Ed è per
questo che sono davvero felice che la settimana successiva mia sia
arrivata notizia dell’uscita di questo libro, ovvero “Iniziazione di un
uomo”, che io trovo talmente bello da essere commovente perché non
immaginavo di potermi nuovamente innamorare di uno scrittore in grado
non solo di rappresentare il suo mondo ma anche di farti sentire e
vedere la lente attraverso cui lo guarda, e ne sono rimasta talmente
affascinata che ho comprato anche i libri successivi che sono riuscita a
trovare.
In una delle versioni di questa recensione esordivo con un “mi è piaciuto talmente tanto che sarei disposta a dare del cretino a chiunque non voglia nemmeno provare a leggerlo”. Nonostante quella versione non fosse incisiva per me, questa frase la sottoscriverei anche adesso.
Buone letture,
Simona Scravaglieri
Iniziazione di un uomo
John Dos Passos
Marietti 1820, ed. 2020
Traduzione a cura di A. Pugliese
Collana “I Melograni”
Prezzo 14,50€